Piero Masoni
piero masoni
Piero "Strafòo" Masoni, mito fornacettese
Di Luigi Bruni, da Il "Navicello", ottobre 1985
Nei primi anni cinquanta abitavo da poco a Pontedera. Fornacette, dal mio osservatorio, era niente di più che un gruppo di case in cima al violone, al di là del Fosso. La distanza era breve ma erano due mondi con pochi contatti. Un altro punto di riferimento poteva essere la fermata del Tramino (che ora non c´è più) di fronte al Cottolengo le poche volte che mi avventuravo verso il mare, nella bella stagione. A colmare questa lacuna ci pensò Piero Masoni; lo fece a modo suo, finendo per alimentare una leggenda che coinvolgeva anche il suo paese. In quel periodo nelle sere d´estate, l´unico divertimento per noi ragazzi era il ritrovarsi sul "Piazzone"; era il solo posto della città ben illuminato ed un po´ le dimensioni, un po´ lo scarso traffico di allora l´avevano fatto assurgere a una pista di pattinaggio. Dopo cena eravamo tutti lì a sbucciarsi le ginocchia, in precario equilibrio su attrezzi di seconda mano. Ma poi arrivava lui, Piero e la scena cambiava di netto. Il segno premonitore era un brusio un po´ eccitato che proveniva dal Corso che immetteva sul Piazzone; voleva dire che Piero era sbucato dal viale di Fornacettee a gran velocità si dirigeva verso di noi. Fisico atletico, in perfetta tenuta sportiva, pattini professionali da esibizione e capelli con una riga impeccabile. Il più delle volte arrivava avanzando di spalle con una piccola corte di comprimari che gli arrancavano dietro; il passaggio sul corso era solo l´inizio, fatto di volate razzenti a pochi centimetri dai tavolini dei bar, da qualcuno dei quali afferrava a volo qualche bicchiere a metà che si scolava qualche metro più avanti, con la massima disinvoltura. Quindi imboccava a tutta birra la prima curva del Piazzone ed a noi tutti da quel momento, non restava che metterci da parte. E´ Piero il matto di Fornacette - sentivo dire - e cominciava l´incredibile show: piroette, avvitamenti, slaloms, salti in corsa in avanti e all´indietro, rincorse a qualche malcapitato che passava in bicicletta od in motorino e che diventava così lo zimbello di tutta la platea. Piero faceva tutto in scioltezza, con un´espressione muta e beffarda, senza una goccia di sudore e senza che un capello gli andasse fuori posto; seduti sul marciapiede lo guardavamo ad occhi sgranati e ci spellavamo le mani a richiedere bis su bis. Poi, finito il repertorio, sempre a grande velocità, imboccava il Corso, afferrava al volo un ultimo bicchiere per dissetarsi, rincorso dagli accidenti del titolare, e si rituffava nel buio del violone verso Fornacette. Fu così per un paio di stagioni. Il tempo delle patinate terminò anche per Piero che cominciava a porsi il problema di come campare e non poteva farlo che con lo sport. Cambiò palcoscenico e si dette al calcio, dove continuò ad alimentare la leggenda del "matto di Fornacette" a scapito di un talento naturale come pochi che, volendo, poteva essere la sua fortuna. Ma Piero non era assolutamente il tipo da programmarsi; lo sport era per lui più che altro l´unico modo di comunicazione possibile, in cui il gesto, meglio se spettacolare e provocatorio, era la migliore risposta alla battuta, al sarcasmo che sottolineavano di continuo il suo modo di vivere alla giornata. Comunque di allenamenti o ritiri, con Piero era meglio non parlarne; per lui il massimo era di andare in campo, ciondolare qua e là fino al guizzo esaltante e vincente del gol. Fino a quando qualcuno del pubblico non lo mandava a quel paese; perché allora era capace di prendere il pallone a metà campo, scartare tutta la difesa, portiere compreso, lasciare il pallone sulla linea di porta e venirsene via, con quali conseguenze è possibile immaginare. Nel suo pieno fulgore trovò un ingaggio in una squadra del Sud; gli echi di quella sua stagione arrivavano puntualmente fino a Fornacette e riportavano delle performance di Piero in campo e fuori. La sua reputazione, meritata, di seduttore dovette superare prove tremende in un ambiente poco disponibile in fatto di donne. Nel gioco poi non si smentiva; come quando si presentò in campo in tenuta ed in cravatta perché l´allenatore lo aveva rimproverato di fare un gioco "poco elegante"; o come quando voleva convincere di saper battere i rigori di testa, lui l´unico al mondo...Per un tipo così più che di carriera si poteva parlare di una collezione di episodi; per cui quando, sulle soglie della maturità, Piero rientrò a Fornacette, gli si presentò di nuovo il problema di come andare avanti. Non è che se ne faceva un dramma e non è che la gente si facesse tante domande in proposito; Da eterno ragazzo, nei confronti del prossimo Piero si preoccupava solo di coltivare l´immagine che si portava dietro da sempre. D´inverno non perdeva una sciata all´Abetone ed era l´anima delle comitive; d´estate si divideva tra il mare e qualche puntata distratta sui campi da tennis. In questa specialità non era un granché ma era il suo "contorno" che lo appagava. A Fornacette nel ´60 nelle sere di luglio organizzavano un torneo sul campo del Velodromo. Gabry Orsini che ne era il promotore, gli riservava immancabilmente l´incontro clou della prima serata, come ai grandi di Wimbledon. A Piero del risultato non importava niente, ma la gente accorreva solo per lui. Si presentava come sempre impeccabile, capello pettinatissimo e sorriso strafottente; i preliminari erano interminabili fatti di riverenze all´avversario, di saluti al pubblico e all´arbitro, di controlli minuziosi del campo, alla rete e dintorni. Poi veniva la partita che era tutta un siparietto di: - Grazie, scusi, si figuri! - di palle sbilenche e smash bucati clamorosamente di proposito e via via di questo passo. Le tribune venivano giù dalle risate e Piero era contento come un bambino. Furono quelle le sue sortite, per un po´ di tempo non se ne sentì più parlare. Piero aveva ormai cinquant´anni e forse cominciava a mettere la testa veramente a partito: come, lo sapeva probabilmente solo lui. Un giorno che andai all´ospedale a fare visita ad un parente, lo trovai nell´atrio che indossava una bella vestaglia di raso blu ed un foulard al collo. Con la sua solita aria blasé teneva una sigaretta sull´angolo della bocca e le mani in tasca come per un incontro galante. Sono qui per un controllino, niente di serio - mi disse col tono di essere lì quasi per sbaglio. Gli feci comunque gli auguri ma qualche giorno dopo mi dissero che era praticamene condannato. Morì di lì a un mese, così senza tanti clamori. La fama, o meglio la leggenda di Piero non aveva niente di ufficiale, a dispetto del suo modo di vivere, il dolore per la sua scomparsa fu quello che si prova per gli uomini semplici e genuini. Ma chi conosceva bene Piero sa anche che non se n´è andato in modo qualunque: non sarebbe stato nel suo stile. Ancora una volta, contro qualsiasi regola e contro qualsiasi sorveglianza, Piero calzò di nascosto i suoi pattini e indossò la sua divisa, quindi imboccò il viale che porta alla "sua" Fornacette, passò il ponte e si fermò a salutare per un´ultima volta i suoi amici più fedeli al bar di Mario, lì, proprio sul fosso. Poi, veloce come sempre, tra una serie dolcissima di slalom dei suoi, sparì verso l´orizzonte e poi più su, sempre più su verso un posto lontano che solo lui che conosceva, fatto di spazi immensi e perfettamente lisci, dove nessuno gli rompesse l´anima e gli fosse finalmente possibile spendere in pace e felice tutto il tempo che voleva, pattinando nel cielo.
Di Luigi Bruni, da Il "Navicello", ottobre 1985
Nei primi anni cinquanta abitavo da poco a Pontedera. Fornacette, dal mio osservatorio, era niente di più che un gruppo di case in cima al violone, al di là del Fosso. La distanza era breve ma erano due mondi con pochi contatti. Un altro punto di riferimento poteva essere la fermata del Tramino (che ora non c´è più) di fronte al Cottolengo le poche volte che mi avventuravo verso il mare, nella bella stagione. A colmare questa lacuna ci pensò Piero Masoni; lo fece a modo suo, finendo per alimentare una leggenda che coinvolgeva anche il suo paese. In quel periodo nelle sere d´estate, l´unico divertimento per noi ragazzi era il ritrovarsi sul "Piazzone"; era il solo posto della città ben illuminato ed un po´ le dimensioni, un po´ lo scarso traffico di allora l´avevano fatto assurgere a una pista di pattinaggio. Dopo cena eravamo tutti lì a sbucciarsi le ginocchia, in precario equilibrio su attrezzi di seconda mano. Ma poi arrivava lui, Piero e la scena cambiava di netto. Il segno premonitore era un brusio un po´ eccitato che proveniva dal Corso che immetteva sul Piazzone; voleva dire che Piero era sbucato dal viale di Fornacettee a gran velocità si dirigeva verso di noi. Fisico atletico, in perfetta tenuta sportiva, pattini professionali da esibizione e capelli con una riga impeccabile. Il più delle volte arrivava avanzando di spalle con una piccola corte di comprimari che gli arrancavano dietro; il passaggio sul corso era solo l´inizio, fatto di volate razzenti a pochi centimetri dai tavolini dei bar, da qualcuno dei quali afferrava a volo qualche bicchiere a metà che si scolava qualche metro più avanti, con la massima disinvoltura. Quindi imboccava a tutta birra la prima curva del Piazzone ed a noi tutti da quel momento, non restava che metterci da parte. E´ Piero il matto di Fornacette - sentivo dire - e cominciava l´incredibile show: piroette, avvitamenti, slaloms, salti in corsa in avanti e all´indietro, rincorse a qualche malcapitato che passava in bicicletta od in motorino e che diventava così lo zimbello di tutta la platea. Piero faceva tutto in scioltezza, con un´espressione muta e beffarda, senza una goccia di sudore e senza che un capello gli andasse fuori posto; seduti sul marciapiede lo guardavamo ad occhi sgranati e ci spellavamo le mani a richiedere bis su bis. Poi, finito il repertorio, sempre a grande velocità, imboccava il Corso, afferrava al volo un ultimo bicchiere per dissetarsi, rincorso dagli accidenti del titolare, e si rituffava nel buio del violone verso Fornacette. Fu così per un paio di stagioni. Il tempo delle patinate terminò anche per Piero che cominciava a porsi il problema di come campare e non poteva farlo che con lo sport. Cambiò palcoscenico e si dette al calcio, dove continuò ad alimentare la leggenda del "matto di Fornacette" a scapito di un talento naturale come pochi che, volendo, poteva essere la sua fortuna. Ma Piero non era assolutamente il tipo da programmarsi; lo sport era per lui più che altro l´unico modo di comunicazione possibile, in cui il gesto, meglio se spettacolare e provocatorio, era la migliore risposta alla battuta, al sarcasmo che sottolineavano di continuo il suo modo di vivere alla giornata. Comunque di allenamenti o ritiri, con Piero era meglio non parlarne; per lui il massimo era di andare in campo, ciondolare qua e là fino al guizzo esaltante e vincente del gol. Fino a quando qualcuno del pubblico non lo mandava a quel paese; perché allora era capace di prendere il pallone a metà campo, scartare tutta la difesa, portiere compreso, lasciare il pallone sulla linea di porta e venirsene via, con quali conseguenze è possibile immaginare. Nel suo pieno fulgore trovò un ingaggio in una squadra del Sud; gli echi di quella sua stagione arrivavano puntualmente fino a Fornacette e riportavano delle performance di Piero in campo e fuori. La sua reputazione, meritata, di seduttore dovette superare prove tremende in un ambiente poco disponibile in fatto di donne. Nel gioco poi non si smentiva; come quando si presentò in campo in tenuta ed in cravatta perché l´allenatore lo aveva rimproverato di fare un gioco "poco elegante"; o come quando voleva convincere di saper battere i rigori di testa, lui l´unico al mondo...Per un tipo così più che di carriera si poteva parlare di una collezione di episodi; per cui quando, sulle soglie della maturità, Piero rientrò a Fornacette, gli si presentò di nuovo il problema di come andare avanti. Non è che se ne faceva un dramma e non è che la gente si facesse tante domande in proposito; Da eterno ragazzo, nei confronti del prossimo Piero si preoccupava solo di coltivare l´immagine che si portava dietro da sempre. D´inverno non perdeva una sciata all´Abetone ed era l´anima delle comitive; d´estate si divideva tra il mare e qualche puntata distratta sui campi da tennis. In questa specialità non era un granché ma era il suo "contorno" che lo appagava. A Fornacette nel ´60 nelle sere di luglio organizzavano un torneo sul campo del Velodromo. Gabry Orsini che ne era il promotore, gli riservava immancabilmente l´incontro clou della prima serata, come ai grandi di Wimbledon. A Piero del risultato non importava niente, ma la gente accorreva solo per lui. Si presentava come sempre impeccabile, capello pettinatissimo e sorriso strafottente; i preliminari erano interminabili fatti di riverenze all´avversario, di saluti al pubblico e all´arbitro, di controlli minuziosi del campo, alla rete e dintorni. Poi veniva la partita che era tutta un siparietto di: - Grazie, scusi, si figuri! - di palle sbilenche e smash bucati clamorosamente di proposito e via via di questo passo. Le tribune venivano giù dalle risate e Piero era contento come un bambino. Furono quelle le sue sortite, per un po´ di tempo non se ne sentì più parlare. Piero aveva ormai cinquant´anni e forse cominciava a mettere la testa veramente a partito: come, lo sapeva probabilmente solo lui. Un giorno che andai all´ospedale a fare visita ad un parente, lo trovai nell´atrio che indossava una bella vestaglia di raso blu ed un foulard al collo. Con la sua solita aria blasé teneva una sigaretta sull´angolo della bocca e le mani in tasca come per un incontro galante. Sono qui per un controllino, niente di serio - mi disse col tono di essere lì quasi per sbaglio. Gli feci comunque gli auguri ma qualche giorno dopo mi dissero che era praticamene condannato. Morì di lì a un mese, così senza tanti clamori. La fama, o meglio la leggenda di Piero non aveva niente di ufficiale, a dispetto del suo modo di vivere, il dolore per la sua scomparsa fu quello che si prova per gli uomini semplici e genuini. Ma chi conosceva bene Piero sa anche che non se n´è andato in modo qualunque: non sarebbe stato nel suo stile. Ancora una volta, contro qualsiasi regola e contro qualsiasi sorveglianza, Piero calzò di nascosto i suoi pattini e indossò la sua divisa, quindi imboccò il viale che porta alla "sua" Fornacette, passò il ponte e si fermò a salutare per un´ultima volta i suoi amici più fedeli al bar di Mario, lì, proprio sul fosso. Poi, veloce come sempre, tra una serie dolcissima di slalom dei suoi, sparì verso l´orizzonte e poi più su, sempre più su verso un posto lontano che solo lui che conosceva, fatto di spazi immensi e perfettamente lisci, dove nessuno gli rompesse l´anima e gli fosse finalmente possibile spendere in pace e felice tutto il tempo che voleva, pattinando nel cielo.